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La cultura della criminalità tra i giovani nelle periferie.


Prima di trattare questa tematica ritengo che sia doverosa una precisazione: quando parlo di mito della delinquenza tra i giovani, non intendo alludere a tutti i ragazzi di oggi, bensì ad una realtà ben consolidata in molti quartieri periferici  genovesi (Sestri Ponente, Sampierdarena, Pegli, Pra' e via dicendo). A cosa mi riferisco di preciso? Ad una mentalità che si sta diffondendo a macchia d'olio tra gli adolescenti: la cultura della cattiveria, della delinquenza, della violenza gratuita. Al dilagare di crimini efferati, imputabili solamente alla noia e al desiderio di sopraffazione. Il problema di fondo ( nonchè la ragione che mi ha portato a scrivere questo articolo) consiste nel fatto che  i soprusi non vengono biasimati dalla maggior parte degli adolescenti. Il senso di giustizia, ahimè, non è affatto diffuso tra i giovani e l'indifferenza regna sovrana.


Non vedo, non sento, non parlo. Chi si fa i fatti propri campa cent'anni. Molti ragazzi preferiscono tacere di fronte alle ingiustizie.

 Il mito della criminalità inizia ad affascinare la gioventù prestissimo: all'incirca verso i quattordici anni i ragazzi possono essere ripartiti in quattro categorie ben distinte. Il primo gruppo è quello costituito da adolescenti privi di coscienza e valori, poiché cresciuti in famiglie che si sono disinteressate alla loro educazione. Nell'assenza totale di ideali, figurano però alcuni individui (quasi sempre meridionali o stranieri) che sostengono di avere un proprio codice morale rispecchiante le logiche mafiose. Tutti questi individui disprezzano la legge e sono affascinati dal concetto di criminalità, ambendo dunque a diventare dei delinquenti a tutti gli effetti. La loro iniziazione consiste in risse, piccoli furti ed aggressioni con cui essi infangano per la prima volta la propria fedina penale, ritenendo di imporsi  prepotentemente nel quartiere in cui vivono ed esigendo la subordinazione degli altri nei loro confronti. Chi osa opporsi è condannato all'ostracismo e al disprezzo nel territorio da loro "comandato".  Gli anni, tuttavia, passano in fretta ed i baby teppisti non possono più sperare in un riscatto ( le bocciature sono ormai troppe e la ricerca di un impiego si rivelerà assai ardua, a causa dell'accumulo di piccoli reati). In questa fase di transizione i piccoli furfanti si avvicinano progressivamente al concretizzarsi del proprio sogno: diventare dei veri e propri malviventi ( il tutto chiaramente all'oscuro dei loro genitori). I crimini aumentano quindi repentinamente , assumendo connotati via via sempre più meritevoli delle pagine dei quotidiani: i furti diventano più elaborati, nei pestaggi e nelle risse la vittima di turno va in coma, finché la morte di qualcuno segna l'inevitabile epilogo di questa escalation di violenza.
I baby boss intervistati da Giulio Golia operano secondo un proprio codice di onore di stampo mafioso: ogni torto viene punito. Le motivazioni che spingono tanti adolescenti a delinquere, tuttavia, altro non sono che la noia e la mancanza di valori.

 Come già accennato esistono altre tre categorie di ragazzi: I complici diretti, i complici indiretti ed  infine una minoranza, purtroppo sempre più esigua che disprezza tale modo di pensare. I cosiddetti complici diretti sono coloro che gravitano intorno ai piccoli teppisti frequentandoli e appoggiando tacitamente ogni loro azioni riprovevole. Spesso questo silenzioso consenso si trasforma in diretta approvazione: ai piccoli delinquenti è quindi garantito un costante supporto. I complici indiretti, invece, sono rappresentati dalla maggior parte degli adolescenti che preferisce non proferire parola contro  le ingiustizie. Ciò è la prova lampante che l'omertà non caratterizzi soltanto i contesti mafiosi, ma permei gran parte della società giovanile. Se le malefatte dei baby criminali venissero apertamente criticate e disapprovate, essi avrebbero maggiori possibilità di mutare la propria condotta, perlomeno per non incombere nell'isolamento sociale.



Adesso dovrebbe essere più chiara una delle motivazioni per cui assistiamo ad un numero crescente di crimini sempre più efferati: è anche colpa di una cultura improntata su violenza, sopraffazione, omertà e assenza di valori. Dinamiche molto assimilabili a quella mafiose che plasmano gli individui fin dalla preadolescenza.    

 

Emanuele Morganti, il ventenne massacrato ad Alatri da una banda di teppisti, senza alcun motivo. Omicidi del genere si moltiplicheranno se i ragazzi non verranno educati con saldi principi morali.


 I teppisti vengono considerati alla stregua di eroi da imitare. Si vede, ma si tace. Si sa, ma non si dice. Come si può anche solo lontanamente pensare di combattere il crimine, se i nostri cittadini del futuro ne sono stregati???
di Alberto Pronzalino


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