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Togliamo i figli ai delinquenti.

Il clamore mediatico innescato dall'attentato di Barcellona, come di consueto, si è sopito ormai definitivamente.
Il canovaccio è sempre lo stesso: Dopo la strage perpetrata dall'integralista di turno, i social network vengono sommersi da un oceano di internauti che ostenta la propria indignazione per l'accaduto, mentre le reti televisive iniziano a contendersi sedicenti esperti di politica internazionale e sociologia per tentare di dare una spiegazione a questi drammatici avvenimenti. Puntualmente, però, lo sdegno del popolo del web e l'apparente volontà di approfondire le cause del terrorismo da parte dei media tradizionali scemano in modo progressivo nelle settimane successive agli attentati, fino a scomparire definitivamente nel giro di un paio di mesi.
È possibile che siano necessari gli attentati per ridestare la coscienza del popolo del web riguardo al problema del terrorismo?


Se è necessario compiere uno studio approfondito del Corano per verificare se vi sia o meno la presenza di enunciati prescrittivi che legittimino il comportamento dei terroristi, ancora più importante è acquisire la consapevolezza del fatto che l'Islam non ha avuto modo di sviluppare una propria componente interna non radicale, in quanto  ha attecchito solo nei Paesi culturalmente arretrati (Iraq, Somalia, Egitto...). Il Cristianesimo, al contrario, si è diffuso principalmente in Paesi progrediti a livello etico, economico e sociale, seppur con limitatissimi casi di degenerazione patologica. A conferma di quanto detto poc'anzi, si può addurre l'esempio della situazione vigente in Arabia Saudita e negli altri Paesi del Golfo, nei quali ad un repentino sviluppo economico dovuto alle risorse petrolifere giacenti nel sottosuolo, non è corrisposta un'evoluzione a livello culturale: tutto ciò ha posto le basi per una situazione paradossale nella quale al primato di città come Dubai e Riad in termini di sviluppo economico, si affianca uno spregio senza paragone dei diritti umani ( basti pensare che la monarchia Saudita prevede la pena di morte per apostati ed omosessuali).
I Paesi del golfo sono la dimostrazione che ad uno sviluppo economico non corrisponde necessariamente un'evoluzione in termini culturali.

Per quanto possa sembrare retorico, il terrorismo è quindi soprattutto un problema culturale: è il prodotto della scarsa civilizzazione di alcune zone del mondo. Qual è l'utilità delle suddette considerazioni nella lotta al radicalismo? È presto detto: spesso si tende a trascurare l'importanza dell'istruzione e dell'educazione familiare: laddove queste risultino deficitarie si avrà una società formata da individui moralmente sottosviluppati, incapaci di comprendere la realtà circostante e quindi ovviamente il significato delle proprie azioni ed il rispetto della vita umana . 
Se le persone non ricevono una solida base culturale, quindi, non sono  poi chiaramente in grado di sviluppare pienamente  il proprio intelletto e questo comporta il dilagare dell'ignoranza e, di conseguenza, del fondamentalismo religioso, ma non solo. Prendiamo ad esempio il caso di Noemi Durini, la sedicenne brutalmente uccisa da un coetaneo pugliese: pure in questa circostanza, il terribile gesto del ragazzo è frutto di un'ignoranza derivante dall'essere vissuto in un contesto arretrato, con la differenza che questo omicidio non ha un movente religioso. Anche all'interno del nostro Paese, pertanto, sono presenti contesti di arretratezza socio-culturale e non siamo esenti dal dilagare dell' ignoranza e da tutti i problemi che ne derivano, anzi.


Anche nel nostro Paese sono presenti focolai di arretratezza culturale: pensiamo a Lucio: il ragazzo pugliese che nel 2017 uccise Noemi Durini.
 Abbiamo dunque compreso come il terrorismo riesca a diffondersi soltanto nei Paesi poco sviluppati o in quelli progrediti, ma dove si sono trasferiti individui originari di zone del mondo minormente civilizzate. Per concludere: esiste quindi un rimedio a tutto ciò? In un mondo ideale la soluzione sarebbe quella di prelevare i bambini alle famiglie incapaci di educarli, già dalla primissima infanzia e affidarli a nuclei familiari in cui essi possano essere istruiti nel miglior modo possibile, ma soprattutto dove i fanciulli possano interiorizzare valori come il rispetto della vita altrui e della libertà di opinione. Un intervento del genere costituirebbe la panacea per gran parte delle problematiche sociali che affliggono non solo la Francia, ma anche la nostra penisola (si pensi alla delinquenza minorile che dilaga nel Napoletano, ad esempio.) Purtroppo tutto ciò  è a dir poco utopistico,  per l'assenza di strutture adibite a tale scopo, ma soprattutto per le difficoltà che sorgerebbero nell'individuare i criteri con i quali selezionare le famiglie  realmente capaci di educare correttamente i pargoli sottratti ai terroristi o agli altri criminali, senza contare che  un progetto del genere sarebbe immediatamente tacciato di disumanità. Sarebbe indispensabile, infine, che i migranti in procinto di giungere nel Paese ospitante comprendessero  l'importanza di sacrificare  parte delle proprie specificità culturali, in nome di una convivenza pacifica con gli altri cittadini. Quanto sopra potrà apparire eccessivo, ma finché non si acquisirà la  consapevolezza  di un  intervento drastico sul fronte educativo, il terrorismo non avrà mai fine.

di Alberto Pronzalino

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